La prossima settimana, da venerdì a domenica, lo Sri Lanka ospiterà la riunione biennale dei capi di governo dei paesi del Commonwealth e, se tutto andrà come si teme e si denuncia da due anni, sarà proprio l’isola asiatica ad assumere la presidenza del gruppo nel biennio 2014-15.
I paesi del Commonwealth mostrano d’ignorare che lo svolgimento della
riunione nello Sri Lanka non solo è contrario alla loro carta dei
valori (la “dichiarazione di Trinidad” del 1999) ma darà anche il sigillo finale all’impunità per le gravissime violazioni dei diritti umani, passate e presenti, in un paese i cui dirigenti sono accusati di crimini di guerra e non perdono occasione per ridurre al silenzio chi li critica.
Nel corso del conflitto armato andato avanti per un quarto di secolo e terminato nel maggio 2009, sono stati uccisi almeno 40.000 civili,
in gran parte ad opera delle forze governative (e con un contributo di
sangue e brutalità non indifferente da parte delle Tigri per la
liberazione della patria Tamil). Ciò nonostante, il governo dello Sri
Lanka si ostina a sostenere, contro ogni evidenza, che i suoi militari
seguirono la politica denominata “zero vittime civili”.
Il Comitato per la riconciliazione e le lezioni da apprendere,
istituito alla fine del conflitto, è stato poco più che uno specchietto
per le allodole della comunità internazionale e persino le sue innocue
raccomandazioni sono state ignorate dal governo, così come sono state
ignorate le richieste d’istituire una commissione internazionale
credibile e indipendente sui crimini di guerra.
Lo Sri Lanka ha uno dei più alti numeri di desaparecidos al mondo.
Molti risalgono agli anni del conflitto, altri sono successivi. Dagli
anni ‘Ottanta, le Nazioni Unite hanno ricevuto oltre 12.000 segnalazioni
di sparizione, ma secondo altre fonti potrebbero essere tre volte
tanto.
Le sparizioni proseguono ancora oggi, le chiamano “i rapimenti del furgone bianco”, perché è proprio a bordo di un veicolo di quel tipo che giornalisti, oppositori e attivisti vengono visti per l’ultima volta.
La repressione non è fatta solo di sparizioni, anche se togliere
dalla circolazione un oppositore in assenza di qualsiasi procedura o
supervisione giudiziaria rimane il metodo più efficace.
Nei primi tre mesi di quest’anno, la Commissione nazionale per i diritti umani ha registrato 86 denunce di tortura. Nel 2012 i morti di tortura sono stati almeno cinque.
Quanto ai giornalisti, dal 2006 ne sono stati uccisi almeno 15 e più di 80 sono stati costretti, negli ultimi otto anni, a lasciare il paese.
Chiunque osi mettere in discussione la narrazione ufficiale del
conflitto, occuparsi delle vittime delle violazioni dei diritti umani o
criticare la gestione del potere da parte del presidente Mahinda
Rajapska è additato come traditore, subisce minacce, intimidazioni e anche agguati mortali.
Infine, sebbene l’indipendenza del potere giudiziario sia uno dei
valori fondamentali del Commonwealth, la riunione si svolge nel paese il
cui governo ha promosso l’impeachment della ministra della Giustizia, Shirani Bandaranayake.
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