sabato 29 ottobre 2011

Sparizioni video e petizione

Il team che lavora sul Sud Asia per il segretariato ha prodotto un video per accompagnare la petizione on line sulle sparizioni forzate in Pakistan.
Il video illustra le sofferenze provocate ai familiari degli scomparsi e include piccole clip tratte da interviste ai familiari..
Il video e i link alle petizioni si trovano anche su youtube.

http://amnesty.org/en/appeals-for-action/end-enforced-disappearances-in-Pakistan
 
Ecco un altro link http://ow.ly/7avyg
Fatelo circolare il più possibile........dobbiamo raccogliere almeno 5000 firme entro novembre

Francesco

mercoledì 19 ottobre 2011

Una bella notizia.

Una bella notizia. Il giornalista Rehmatullah Darpakhel, rapito l'11 agosto in Pakistan , è stato liberato. Ora si trova a Miran Shah con la famiglia. E' in buona salute. E'stato rilascioato il 12 ottobre.

sabato 15 ottobre 2011

E il Bhutan si fece blu - la 'nuova via' del Bhutan?

Da Il Sole 24 ore.

Non è impresa facile salire a piedi nudi tra le valli del Bhutan fino al monastero di Paro, noto anche come il "Nido della tigre". Guru Rinpoche, il "secondo Bhudda", uno dei sacri maestri del buddismo tibetano, giunse in queste valli per meditare tra le cascate, a 5.300 metri di altitudine. La sua filosofia fondata sulla consapevolezza della natura mise in queste terre lunghe radici, divenendo un insegnamento per gli abitanti. Secondo la tradizione guru, Rinpoche era solito sotterrare in luoghi remoti dei terma: insegnamenti che sarebbero poi stati scoperti secoli dopo dai tertön, gli "scopritori di tesori". In questo modo gli insegnamenti più segreti si sarebbero rivelati al momento opportuno e alle persone giuste.

Leggende forse, ma qui in Bhutan sembra che un nuovo terma sia stato rivelato: una nuova filosofia di sviluppo, dove la ricerca della felicità buddista incontra la crescita sostenibile.Nel 1972 Jigme Singye Wanchuck viene incoronato re all'età di 16 anni. È un modernizzatore: apre il regno al turismo, fa costruire una serie di centrali idroelettriche, ma soprattutto coniuga buddismo con l'economia politica, creando il Gross National Happiness (GNH), la Felicità interna lorda. Un indicatore di sviluppo alternativo al PIL, il prodotto interno lordo, che misura la crescita di un Paese non in meri termini economici ma in base alla qualità del welfare dei suoi cittadini e dell'ambiente.

«IL GNH è un sistema complesso», spiega emergendo da un minuto di silenziosa meditazione Lyonpo Khandu Wanchuk, ministro dell'educazione bhutanese, «che si fonda sulle premesse che il desiderio più grande di ogni essere umano è la felicità, in senso profondo. Noi dobbiamo creare le condizioni per creare questa felicità. Per questo dobbiamo seguire i quattro pilastri necessari della Felicità Interna Lorda: sviluppo economico e sociale sostenibile, conservazione dell'ambiente e lotta ai cambiamenti climatici, preservazione della cultura millenaria del Bhutan e della sua filosofia, e buona governance. Ogni progetto, idea, processo viene valutato da una commissione che misura l'impatto sulla felicità interna lorda: diminuzione della mortalità, soddisfazione al lavoro, buona politica, qualità ambientale, soddisfazione familiare, benessere sociale e psicologico. Se soddisfatti buona parte dei requisiti, allora può essere realizzato.

Dall'altra parte del mondo Gunter Pauli, studia sistemi di produzione alternativi. «Ho sempre cercato un modello di sviluppo sostenibile di larga scala accessibile a tutti». Negli ultimi anni è divenuto famoso per la teoria della blue economy, un sistema di produzione basato unicamente sulle risorse disponibili localmente, dove ogni scarto di produzione viene riusato o riciclato. «Usa quello che hai è il mio motto», spiega. Tra gli ammiratori, Ashok Khosla, presidente del Club di Roma, che descrive la blue economy come «un modello di produzione che si basa sul fondamento che ogni cosa che viene presa dalla madre terra ad essa viene restituita». A giugno 2011 Felicità interna lorda e blue economy si sono incontrate. In una sala tra le mura silenti del resort TermaLinca di Thimphu, capitale del Bhutan, Gunther Pauli ha riunito circa un centinaio tra dignitari governativi, inventori, businessman e venture capitalist locali e stranieri. Ma fin dal nome s'intuisce che la storia è ben diversa dal classico "business meeting". Qua all'incontro, dal titolo Felicità e competitività, per la prima volta si cerca un'alternativa di larga scala al Pil, senza trascurare ricchezza e progresso.

«Oggi poniamo le fondamenta di paradigma di uno sviluppo sostenibile olistico che ci permetta la modernizzazione senza compromettere la nostra cultura e il nostro ambiente», annuncia il primo ministro bhutanese, Jigme Yoser Thinley «che aumenterà la qualità della vita del nostro popolo e inspirerà il mondo». L'obiettivo, secondo Pauli, è «differenziare l'economia bhutanese, schiacciata tra i due colossi Cina e India, e mostrare l'efficacia del modello di blue economy su larga scala». Audace.

Primo passo di questa sinergia è la creazione di un Fondo per la Felicità Interna Lorda da 100 milioni di euro per lo sviluppo di progetti di blue economy, incentrati sull'eco-sostenibilità. Il piano, ideato da Pauli, è complesso e intricato: si parte dall'eliminare le borse di plastica impiegando scarti agricoli provenienti dal grano saraceno. Le tecnologie per raffinare la bioplastica saranno messe a disposizione dalla compagnia italiana Novamont, che sta valutando la fattibilità del progetto. Questo aumenterà la produzione locale di grano saraceno biologico (messo in vendita con il fantastico brand "GNH"), dato che gli agricoltori avranno un doppio ricavo (dai grani e dagli scarti) e saranno più concorrenziali sul mercato. Il packaging sarà fatto con sistemi di riciclo della carta in loco, limitando così anche l'abbattimento delle foreste che potranno essere protette e scambiate per carbon credit. A loro volta gli scarti forestali potrebbero essere usati per produrre biocarburanti, mantenendo allo stesso tempo il sottobosco pulito, ma senza alterare l'habitat di molte specie protette come le tigri. Nessuno scarto, massima efficienza.

Tra gli investimenti, anche progetti di energie rinnovabili di nuova generazione. Come ad esempio la tecnologia francese di "Wind-it", un sistema di turbine verticali installate sui tralicci dell'alta tensione. Oppure i pannelli Solarus, che combinano riscaldamento e generazione di energia grazie a una pellicola che condensa l'energia. L'idea più folle? Produrre energia impiegando le bandiere di preghiera buddiste, diffusissime nel Paese, con una tecnologia progettata dal genio Shawn Frayne. L'elettricità si genera dalle microfluttuazioni delle bandiere con un sistema chiamato Humdinger windbelts.

giovedì 13 ottobre 2011

Dead man talking


Di Arundhati Roy

Dead men talking

India
In this photo taken on March 17, 2005, Arundhati Roy shakes hands with Yasin Malik in New Delhi. – AFP Photo
NEW DELHI: On 23rd September 2011, at about three in the morning, within hours of his arrival at the Delhi airport, the US radio-journalist David Barsamian was deported. This dangerous man, who produces independent, free-to-air programmes for public-radio, has been visiting India for forty years, doing dangerous things like learning Urdu and playing the sitar.
He has published book-length interviews with Edward Said, Noam Chomsky, Howard Zinn, Ejaz Ahmed and Tariq Ali. (He even makes an appearance as a young, bell-bottom wearing interviewer in Peter Wintonik’s documentary film on Chomsky and Herman’s Manufacturing Consent.) On his more recent trips to India he has done a series of radio interviews with activists, academics, filmmakers, journalists and writers (including myself). Barsamian’s work has taken him to Turkey, Iran, Syria, Lebanon and Pakistan. He has never been deported from any of these countries.
So why does the world’s largest democracy fear this lone, sitar-playing, Urdu-speaking, left-leaning, radio producer? Here is how Barsamian himself explains it: “It’s all about Kashmir. I’ve done work on Jharkand, Chattisgarh, West Bengal, Narmada dams, farmer suicides, the Gujarat pogrom, and the Binayak Sen case. But it’s Kashmir that is at the heart of the Indian state’s concerns. The official narrative must not be contested.” News reports about his deportation quoted official “sources” as saying that Barsamian had “violated his visa norms during his visit in 2009-10 by indulging in professional work while holding a tourist visa.”
Visa norms in India are an interesting peep-hole into the Government’s concerns and predilections. Taking cover under the shabby old banner of the War on Terror, the Home Ministry has decreed that scholars and academics invited for conferences or seminars require security clearance before they will be given visas.  Corporate executives and businessmen do not. So somebody who wants to invest in a dam, or build a steel plant or a buy a bauxite mine is not considered a security hazard, whereas a scholar who might wish to participate in a seminar about say displacement or communalism or rising malnutrition in a globalized economy, is.
Foreign terrorists with bad intentions have probably guessed by now that they are better off wearing Prada suits and pretending they want to buy a mine than wearing old corduroys and saying they want to attend a seminar. (Some would argue that mine-buyers in Prada suits are the real terrorists.)
continua.............http://www.dawn.com/2011/09/30/dead-men-talking.html

lunedì 10 ottobre 2011

Scomparso da un mese il giornalista che raccontava il Pakistan

Libertà di espressione | Temere il peggio, purtroppo, è una sensazione fondata. Rehmatullah Darpakhel vive nella regione più pericolosa di uno dei paesi più pericolosi del mondo per un giornalista: il Nord Waziristan, la regione del Pakistan nordoccidentale tormentata dalla violenza dei gruppi armati, dalle incursioni via terra dell’esercito locale e dagli attacchi via cielo dei droni Usa.
Darpakhel è stato rapito l’11 agosto, mentre stava comprando frutta in un negozio della sua città, Miran Shah. Non è chiaro chi l’abbia preso, se i talebani pachistani o le forze di sicurezza.


http://lepersoneeladignita.corriere.it/2011/09/19/da-quaranta-giorni-non-si-hanno-piu-notizie-di-rehmatullah-darpakhel/

sabato 8 ottobre 2011

AFGHANISTAN, 10 ANNI DOPO: PROGRESSI LENTI E PROMESSE MANCATE

COMUNICATO STAMPA CS100-2011 

Amnesty International ha dichiarato oggi che, 10 anni dopo l’invasione dell’Afghanistan promossa dagli Usa e che caccio’ i talebani dal paese, il governo di Kabul e i suoi alleati internazionali non hanno mantenuto molte delle promesse fatte alla popolazione afgana.

‘Nel 2001, dopo l’intervento internazionale, le aspettative erano elevate, ma da allora i passi avanti verso il rispetto dei diritti umani sono stati pregiudicati dalla corruzione, dalla cattiva gestione e dagli attacchi degli insorti, i quali mostrano un disprezzo sistematico per i diritti umani e le leggi di guerra’ – ha dichiarato Sam Zarifi, direttore di Amnesty International per l’Asia e il Pacifico. ‘Oggi, molti afgani sperano ancora che la situazione dei diritti umani nel paese migliori. Il governo e i suoi alleati internazionali devono dare seguito a queste speranze e difenderle con azioni concrete’.

L’analisi di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan ha riscontrato alcuni progressi nel campo dell’adozione di leggi sui diritti umani, della riduzione della discriminazione nei confronti delle donne e dell’accesso all’istruzione e alle cure mediche.

Al contrario, nei settori della giustizia, delle operazioni di polizia, della sicurezza e sulla questione degli sfollati non si sono registrati passi avanti o la situazione si e’ persino deteriorata. Le condizioni di vita della popolazione che vive nelle zone maggiormente colpite dalle azioni degli insorti sono peggiorate.

Lo sviluppo di una piccola ma vivace comunita’ di giornalisti e il modesto ritorno della presenza femminile nelle scuole, nell’impiego e nel governo sono segnali dei progressi fatti negli ultimi 10 anni, cosi’ come l’introduzione di leggi destinate a rafforzare i diritti delle donne. La nuova Costituzione prevede l’uguaglianza giuridica tra uomini e donne e stabilisce che un quarto dei seggi parlamentari sia riservato alle donne. Nelle due elezioni parlamentari del 2005 e 2010, le donne hanno conquistato alcuni seggi in piu’ rispetto a quelli previsti dalla loro quota.

Tuttavia, la violenza contro i giornalisti e gli operatori dell’informazione e’ aumentata. Nelle aree sottoposte a pesanti attacchi dei talebani e di altri gruppi di insorti, le liberta’ di parola e di opinione sono fortemente limitate.

Con la fine delle restrizioni imposte dai talebani, l’accesso all’istruzione e’ notevolmente migliorato: le scuole sono ora frequentate da sette milioni di alunni, il 37 per cento dei quali e’ costituito da bambine. All’epoca dei talebani, i bambini che andavano a scuola erano meno di un milione, con una frequenza femminile quasi pari a zero.

Purtroppo, nei nove mesi che hanno preceduto il dicembre 2010, almeno 74 scuole (26 femminili, 13 maschili e 35 miste) sono state distrutte o chiuse a causa degli attacchi coi razzi, degli attentati, degli incendi e delle minacce degli insorti.

‘Il governo afgano e i suoi partner non possono continuare a giustificare i loro scarsi risultati affermando che le cose vanno meglio rispetto agli anni Novanta’ – ha commentato Zarifi.

Gli iniziali passi avanti registrati dopo il 2001 sono stati fortemente penalizzati dal conflitto. L’insicurezza minaccia il funzionamento delle scuole e degli ospedali nelle zone segnate dalla violenza e nelle aree rurali. I tassi di mortalita’ materna, sebbene migliorati, restano tra i piu’ elevati del pianeta.

All’inizio del 2010 il governo afgano ha avviato un processo di riconciliazione coi talebani e con altri gruppi di insorti. Tuttavia, dei 70 componenti dell’Alto consiglio per la pace, l’organismo istituito per i negoziati, solo nove sono donne. I gruppi femminili temono che i modesti risultati sin qui ottenuti possano essere barattati in cambio di un cessate il fuoco.

‘E’ fondamentale che i diritti delle donne non siano messi in vendita negli accordi di pace. I diritti delle donne non sono negoziabili. I talebani hanno commesso violazioni dei diritti umani agghiaccianti. Ogni negoziato sulla riconciliazione deve prevedere un’adeguata rappresentanza delle donne afgane’ – ha precisato Zarifi.

Nell’ultimo decennio un crescente numero di civili afgani ha fatto le spese del conflitto armato. Negli ultimi tre anni, circa tre quarti delle vittime sono stati causati dagli attacchi dei gruppi di insorti, il resto dalle forze internazionali e afgane.

Nei primi sei mesi del 2011 le Nazioni Unite hanno registrato 1462 vittime civili, un altro drammatico record. L’80 per cento delle perdite e’ stata attribuita a ‘elementi antigovernativi’ e almeno la meta’ dei morti e dei feriti e’ stata causata da attacchi suicidi e ordigni esplosivi.

Il conflitto ha prodotto quasi 450.000 profughi interni. La maggior parte di essi si trova nelle province di Kabul e Balkh, spesso in condizioni di poverta’ estrema, con limitato accesso a cibo, servizi igienici adeguati e acqua potabile.

‘Gli alleati internazionali dell’Afghanistan, compresi gli Usa, hanno detto piu’ volte che non abbandoneranno il popolo afgano. Devono rispettare questo impegno, per assicurare che la comunita’ internazionale, nel cercare una via d’uscita dal paese, non metta da parte i diritti umani’  - ha concluso Zarifi.